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L’autunno caldo della Moldova

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Introduzione

Negli ultimi 20 mesi i cittadini moldavi sono stati chiamati alle urne per ben 3 volte con risultati inconcludenti e tra poco ci sarà una nuova tornata elettorale. Nell’arco di questi 20 mesi la Moldova non ha avuto un presidente della Repubblica a causa dello stallo politico – istituzionale venutosi a creare in seguito alle elezioni del luglio 2009 per il rinnovo del parlamento. La carica ad interim è rivestita dal presidente del parlamento.

L’immaturità presente nella classe politica, le difficoltà economiche in cui si dibatte il Paese, le pressioni esterne provenienti da più parti ed un frozen conflict in Transnistria di cui non sembra vedersi una soluzione a breve rendono la situazione del Paese complessa ed instabile. Ad oggi la stabilità politica sembra un miraggio.

Una coalizione di governo allo sbando

Il referendum costituzionale, voluto dall’attuale maggioranza di governo e tenutosi il 5 settembre scorso, è fallito a causa della scarsa affluenza al voto. Nonostante la coalizione di governo abbia perfino abbassato la soglia di partecipazione che rende valido il risultato del referendum (dal 50% al 33%), l’affluenza al voto si è attestata attorno al 27%.

Il quesito referendario chiedeva ai cittadini moldavi di esprimersi su un progetto presentato dall’attuale coalizione di governo, l’Alleanza per l’Integrazione Europea (AIE), volto a modificare l’attuale articolo 78 della costituzione al fine di permettere l’elezione diretta del capo dello Stato come succedeva prima della riforma del 2000.

Il fallimento del referendum ha costituito il colpo di grazia ad una maggioranza composita e litigiosa che fin dalla vittoria alle elezioni parlamentari del luglio 2009 ha incontrato difficoltà insormontabili a far convivere le diverse anime presenti in essa e soprattutto le diverse personalità dei proprio leaders. L’anti-comunismo e la volontà di integrarsi nell’Unione Europea non sono stati collanti sufficienti per mantenere unita la compagine governativa.

L’opposizione e l’ostruzionismo del Partito Comunista Moldavo (PCM), cosa del resto scontata visto l’atteggiamento assunto dalle quattro forze che compongono la maggioranza, non sono sufficienti a spiegare il fallimento dell’azione di governo delle cosidette forze ‘pro – europee’. Tale debacle deve essere ricercato all’interno dell’AIE stessa.

Riteniamo gravi, anzi gravissime, le forzature del dettato costituzionale da parte della maggioranza di governo: la costituzione moldava prevede che il nuovo parlamento debba eleggere, in non più di due tentativi e ad un massimo di 30 giorni di distanza, il presidente della Repubblica con una maggioranza dei 3/5 (vale a dire 61 seggi su 101). Se ciò non avviene l’assemblea deve essere sciolta e le elezioni devono essere indette entro e non oltre 60 giorni. Infatti, quando il PCM fallì per ben 2 volte l’elezione del presidente in seguito alla vittoria contestata nelle elezioni dell’aprile 2009, il parlamento fu sciolto e si procedette a nuove elezioni nel luglio seguente. Al contrario, l’AIE, che si fin dal principio si è professata e presentata come una forza democratica e volenterosa di aderire ai principi liberaldemocratici di stampo europeo, ha in realtà dimostrato tutta la sua immaturità democratica e la capacità di far ricorso, senza troppe remore, a metodi autoritari pur di mantenere i vantaggi politici connessi con la guida del Paese. Basti dire che la corte costituzionale moldava ha dovuto pronunciarsi più volte sulla necessità di sciogliere la camera e tornare alle urne. L’ultima decisione, in ordine di tempo, è stata presa il 21 settembre: la corte ha affermato che il duplice fallimento nell’elezione del capo dello Stato costituisce un terreno sufficiente per lo sciogliemento della camera. Prima di ciò, nel marzo scorso la corte aveva deliberato che la camera avrebbe dovuto essere sciolta entro e non oltre il 16 giugno.

Dopo tale presa di posizione netta, che non lasciava spazio per ulteriori manovre, lo speaker del parlamento e presidente ad interim Mihai Ghimpu ha deciso, il 28 settembre, di sciogliere il parlamento e di indire nuove elezioni, fissate per il 28 novembre.

E’ chiaro a tutti che quanto affermato da Giovanni Giolitti, secondo cui ‘per gli amici la legge si interpreta, ai nemici si applica’, trova nel caso moldavo un esempio concreto: se a mettere mano alle forzature costituzionali di cui abbiamo appena dato conto fossero stati i comunisti, è sicuro che sia all’interno della Moldova che all’esterno ci sarebbe stata una pioggia di critiche e di pressioni politiche su Voronin e gli altri compagni di partito. Probabilmente avremmo anche avuto il piacere di leggere interventi infuocati di intelletuali europei che chiamavano ad una mobilitazione per salvare la piccola democrazia moldava e la civiltà europea dalle grinfie di forze occulte pilotate da Mosca.

Un elemento di pressione, probabilmente ancor più importante delle decisioni della corte costituzionale, che ha costretto Ghimpu a sciogliere la camera è stato il fatto che il fallimento del referendum ha fatto saltare anche quel minimo di unità ancora presente nell’AIE e ha aperto definitamente la campagna elettorale tra i leaders più importanti della coalizione: il premier Vlad Filat e Marian Lupu. Di conseguenza Ghimpu, che teme le elezioni perchè potrebbero escluderlo dai giochi politici, non ha potuto far altro che sciogliere il parlamento ed indire elezioni.

Al fine di incrementare il numero di voti del proprio partito liberaldemocratico, il premier Filat ha lanciato un programma massiccio di spesa sociale a favore delle categorie più disagiate che avrà delle ripercussioni negative sul bilancio statale. Il governo ha allocato i fondi cambiando il bilancio statale senza l’approvazione del parlamento. Il governo non ha ancora reso noto dove troverà tali fondi.

Marian Lupu, ex comunista e leader del partito democratico, ha già da tempo cominciato a smarcarsi dalla coalizione che non è stata in grado di eleggerlo alla poltrona di presidente a causa della mancanza dei voti necessari. Per garantirsi un posto centrale nella futura politica moldava, Lupu ha cominciato a mandare segnali di disponibilità verso Mosca nella speranza, probabilmente, che questa favorisca un accordo pre – elettorale tra il suo partito e il PCM che al momento è portato a vedere Lupu come un traditore che lasciando il partito dopo le elezioni dell’aprile 2009 ha fatto venire meno il seggio necessario a raggiungere quota 61 voti parlamentari per eleggere il capo di Stato sostenuto dai comunisti. Il 17 settembre scorso, Lupu ha affermato che l’Unione Europea è un’obiettivo troppo distante per la Moldova e che sarebbe meglio concentrarsi sulla costruzione di relazioni buone e pragmatiche con il tradizionale partner russo. Non del tutto casualmente, il giorno precedente Lupu si trovava a Mosca per sottoscrivere un accordo con il premier Vladimir Putin per la cooperazione tra il partito Russia Unita ed il partito democratico della Moldova. Ad oggi non è dato sapere se tale alleanza vedrà la luce ma sappiamo per certo che l’impegno di Mosca in tale direzione è concreto e la volontà del Cremlino di rafforzare la propria presenza, di per sé già forte e radicata, in una regione così importante per gliinteressi geopolitici della Russia è fuori discussione.

Gli esperti concordano sul fatto che la lotta interna all’agonizzante AIE è molto più feroce di quanto si possa immaginare in quanto i partiti della coalizzione possono ampliare il proprio seguito elettorale solo a spese degli altri alleati. Solo il partito democratico di Lupu costituisce una parziale eccezione a ciò in quanto potrebbe sottrarre voti al PCM.

Stabilità politica e riforme istituzionali

Riusciranno le elezioni parlamentari del 28 novembre a portare la stabilità politico – istituzionale a questa piccola Repubblica la cui importanza geopolitica è difficilmente sottovalutabile? In questo momento è molto difficile dare una risposta certa che vada oltre il buon senso in quanto esistono elementi contrastanti che rendono la previsione difficile se non impossibile.

Esistono diversi scenari possibili che vengono presi in considerazione da coloro che si occupano di Moldova. Prendiamo in esame i 2 più ottimistici:

  1. Un partito o una coalizione di forze (sia esso il PCM alleato con il partito democratico oppure una coalizione formata da partito liberaldemocratico, partito liberale e partito democratico) vince le elezioni ed ottiene almeno 61 seggi parlamentari in grado di eleggere un presidente della Repubblica e mettere così fine all’impasse;

  1. Lo stesso partito o coalizione vince le elezioni ma non raggiunge quota 61 seggi parlamentari. A questo punto ci si aspetta che le forze di maggioranza dialoghino con il partito di opposizione per trovare l’accordo su un candidato in grado di essere un ‘presidente di garanzia’ in grado di svolgere un ruolo di arbitro nella politica moldava;

Entrambi gli scenari, se si concretizzassero, metterebbero fine, almeno nell’immediato, allo stallo politico – istituzionale che si è venuto a creare nell’ultima fase della storia della piccola Moldova. E’ fuori discussione che ciò rappresenterebbe un’inversione di tendenza più che gradita che permetterebbe ai cittadini moldavi di tirare un sospiro di sollievo: non si dimentichi, ad esempiom, che organizzare una tornata elettorale ha dei costi che pesano sui contribuenti e che dalla prosecuzione dell’attuale stallo politico la credibilità moldava ne uscirebbe pesantemente compromessa.

Come abbiamo detto, i 2 scenari da noi presentati recano in sè un elemento di indubbio ottimismo, vale a dire il superamento dell’attuale impasse. Le urne potrebbero anche produrre un risultato meno lineare e gradevole. Tuttavia, anche se uno dei 2 scenari da noi delineati si concretizzasse sarebbe difficile attribuirgli un valoro maggiore di quanto in realtà avrebbe: superare l’impasse attuale è doveroso ma ciò non garantisce che in futuro non si possa verificare ancora una situazione come quella che ci auguriamo venga archiviata alla svelta.

Ci sembra che il problema risieda in una semplice constatazione: la stabilità politico – istituzionale del Paese non può basarsi solo ed esclusivamente sulla capacità di dialogo dei partiti nazionali e sulla loro volontà di evitare confronti duri e logoranti, caratteristiche di cui i partiti moldavi tendono a difettare, ma anche e soprattutto su una struttura costituzionale congegnata in modo tale che le civili discordie tra le varie forze politiche vengano incanalate su binari istituzionali piuttosto che sfociare in una lotta sordida tra fazioni come quella a cui abbiamo assistito negli ultimi 20 mesi. E’ necessario che tutte le forze politiche che contano dimostrino la maturità necessaria per approntare meccanismi costituzionali che impediscano una degenerazione ed uno stallo politico come quello in corso. Serve dunque una riforma costituzionale che ponga rimedio ai danni provocati dalla riforma costituzionale del 2000. Quella riforma ha creato più problemi di quanti in realtà non ne abbia risolti poichè stabilì che il presidente della Repubblica, figura dotata di poteri sostanziali, sarebbe stato eletto non più dai cittadini (come accade nelle Repubblica semi-presidenziale francese, russa ed ucraina) bensì dal parlamento. Tuttavia, poichè alla figura del presidente si decise di lasciare tutti i poteri di cui disponeva, l’elezione parlamentare con maggioranza qualificata sortì l’effetto contrario a quello voluto dai promotori della riforma: al posto della concordia e della convergenza su un nome condiviso si crearono i presupposti per tensioni e divisioni in quanto ci si contendeva una carica dotata di poteri molto vasti e tutt’altro che formali.

Alla luce di questo appena affermato possiamo dire che vi sono diverse exit strategies costituzionali a cui la classe politica moldava può guardare, tra le quali:

  1. la cancellazione della riforma del 2000 con il ritorno all’elezione diretta del presidente della Repubblica come accade in tutte le Repubbliche semi-presidenziali;

  1. la parlamentizzazione del sistema moldavo. In questo caso il presidente della Repubblica viene privato di tutti i poteri sostanziali, che transitano sul primo ministro, e diventa un presidente di garanzia che non prende parte al confronto politico. Solo in questo caso si può pensare ad una convergenza tra le forze politiche su un nome condiviso che andrà a ricoprire una carica dal grande significato simbolico ma priva di poteri sostanziali. Sarebbe anche opportuno rivedere le modalità di elezione parlamentare al fine di evitare che in caso di duplice fallimento nell’eleggere in presidente si debba sciogliere la camera;

Qualunque sia la scelta che i policy-makers moldavi faranno l’importante è che tengano presente la necessità di modificare la costituzione al fine di permettere al Paese di evitare stalli istituzionali anche in presenza di un’alta conflittualità tra le forze politiche.

Conclusione

L’attuale situazione politica ed istituzionale in Moldova non è sostenibile. Il fatto che esista anche solo una minima possibilità che le prossime elezioni prolunghino la situazione attuale dovrebbe far riflettere tutte le forze politiche del Paese. Il confronto e lo scontro è un elemento che deve essere salvaguardato a tutti i costi per il bene dello Stato ma è necessario anche che si intervenga sulla costituzione al fine di creare un sistema istituzionale che eviti la creazione di stalli politici dannosi, prima di tutto, per i propri cittadini.

Qualunque sia la forza politica che vincerà le prossime elezioni è necessario aprire un confronto serio e produttivo sulle riforme costituzionali. Chiaramente è bene che tutte le forze politiche si mettano bene in testa che la costituzione deve essere rispettata e non creativamente interpretata per mantenere il potere politico il più a lungo possibile, come fatto dall’AIE, anche a costo di esasperare gli animi e lacerare il tessuto politico e sociale.

* Alessio Bini, dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna), collabora con “Eurasia”

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